Nel cervello la geometria iperbolica
rappresenta lo spazio
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 21 gennaio
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Lo spazio della realtà ambientale nella dimensione
immaginaria della mente cosciente è rappresentato con elevata fedeltà lineare. Due
esempi, tratti dalle lezioni di neuroscienza cognitiva del nostro presidente, rendono
evidenti questo rapporto.
Nel primo esempio si chiede a un volontario di
seguire con lo sguardo, dall’inizio alla fine, la linea orizzontale del
cornicione di un palazzo, mentre si registra il tempo di questa escursione dello
sguardo; poi gli si chiede di fare la stessa cosa per il bordo superiore di una
finestra, registrando anche questo tempo; poi gli si chiede di ripetere l’esperimento
a occhi chiusi sull’immagine mentale del palazzo e della finestra tenendo in
mano il timer da far partire all’inizio dell’escursione e fermare alla
fine. Ebbene, non solo il rapporto tra tempo di escursione e lunghezza delle
linee è sempre conservato, ma si rileva anche che il rapporto tra cornicione e
finestra reali è identico a quello tra cornicione e finestra immaginati.
Nel secondo esempio, basato su un compito
neuropsicologico classico, si chiede a un volontario di fissare un dipinto che
riproduce una composizione di varie figure; poi gli si chiede di chiudere gli
occhi, immaginare il quadro e tracciare – ad esempio – una linea dal terzo sinistro
del lato superiore fin giù, come perpendicolare alla base. Se gli si chiede
quali figure incontra la linea, il volontario risponde sempre correttamente,
dimostrando che l’immagine mentale del dipinto riproduce esattamente la
disposizione delle figure della composizione pittorica nello spazio della tela.
Questi due esempi rendono evidente la perfetta corrispondenza
tra spazio reale e spazio ritenuto e rappresentato mentalmente nella dimensione
iconica del ricordo. Se a queste osservazioni psicologiche aggiungiamo il
risultato di studi che hanno trovato degli equivalenti tra gruppi neuronici di
distanze ambientali e, soprattutto, la nostra quotidiana esperienza percettiva lineare
dello spazio, si comprende perché molti ricercatori hanno seguito l’analogia
lineare nell’ipotizzare l’organizzazione funzionale delle reti per le memorie
ippocampali e corticali dell’ambiente. Ma, finora, la reale geometria seguita
dal cervello nel rappresentare al suo interno lo spazio dell’ambiente
circostante il soggetto è rimasta ignota.
Una difficoltà per questa ricerca emerge dal fatto
che il rapporto del soggetto con lo spazio è una funzione altamente dinamica al
servizio della conoscenza/riconoscimento, dell’orientamento, della
perlustrazione, delle scelte direzionali e comportamentali in generale, e
pertanto la sua base neurale non potrebbe consistere in una semplice e statica collezione
di rappresentazioni bi- o tridimensionali di istantanee visive, come si deduce
dalla complessa integrazione fisiologica tra il sistema delle cellule di
luogo dell’ippocampo e il sistema di orientamento centrato sulle cellule
griglia della corteccia entorinale, che si riprogramma in base alla
circostanza spaziale.
Huanqiu Zhang e colleghi hanno indagato la geometria della
rappresentazione dello spazio nel cervello seguendo l’ipotesi che si tratti di
una rappresentazione iperbolica non-lineare, e hanno trovato una conferma
convincente.
(Zhang
H., et al., Hippocampal spatial representations exhibit a
hyperbolic geometry that expands with experience. Nature Neuroscience – Epub ahead
of print doi: 10.1038/s41593-022-01212-4,
December 29, 2022).
La provenienza
dell’autore è la seguente: Neuroscience Graduate Program, University of
California, San Diego, La Jolla, CA (USA); Computational
Neurobiology Laboratory, Salk Institute for Biological
Studies, La Jolla, CA (USA); Princeton Neuroscience Institute, Princeton University,
Princeton, NJ (USA).
Prima di
illustrare in sintesi il lavoro di Huanqiu Zhang e
colleghi, si vuol ricordare a quale importante filone di studi si ricollega,
presentando un’introduzione sulle tappe principali della scoperta delle basi
cellulari delle mappe spaziali.
“L’intuizione dell’esistenza nel cervello di una
mappa cognitiva dell’ambiente da parte di Edward Tolman
è citata da Siegelbaum, Kandel e vari altri autori, quale primo antecedente
documentato dell’ipotesi di lavoro che portò nel 1971 John O’Keefe e John Dostrovsky a scoprire nell’ippocampo di ratto una speciale
mappa cognitiva dello spazio vissuto dall’animale. Non deve meravigliare, però,
che fra i ricercatori l’idea di una rappresentazione cerebrale dinamica
dell’ambiente circolava da tempo. L’osservazione della rapidità e
dell’efficienza dei movimenti dei roditori anche in ambienti nuovi e le prestazioni
di memoria spaziale di uccelli e mammiferi in grado di ricordare l’esatta
localizzazione di nascondigli di cibo o di altri contrassegni ambientali,
avevano da tempo suggerito la possibilità dell’esistenza di sistemi neuronici
specializzati. Grazie al lavoro di John O’Keefe, oggi possiamo dire che la
familiarità di un animale con un particolare ambiente è rappresentata nell’ippocampo
da uno speciale schema di attività nelle regioni CA3 e CA1 di una popolazione
di neuroni piramidali detti cellule di luogo o place cells. Ciascuna di queste cellule si attiva quando un animale
entra nella zona di spazio corrispondente all’area di competenza della cellula,
il campo di luogo o place field.
Quando un animale entra in un nuovo ambiente, nel giro di pochi minuti si
formano nel suo ippocampo nuovi campi di
luogo, che rimangono stabili per settimane o mesi. Per queste proprietà, se
si registra l’attività elettrica di un numero adeguato di place cells, è possibile ricavarne l’informazione relativa a dove
si trovi esattamente l’animale in quel momento. In tal modo si ritiene che l’ippocampo
costituisca una mappa dinamica dello spazio circostante. La dimostrazione da
parte di O’Keefe della funzione delle cellule
di luogo ha fornito la prima evidenza di una rappresentazione cerebrale
dell’ambiente che consente all’animale un’agevole ed efficace traduzione delle
intenzioni locomotorie in atti appropriati alle caratteristiche dello spazio. Questa
mappa cognitiva non è organizzata
secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico, come la somatotopica del tatto sulla superficie della corteccia
cerebrale, ma è una rappresentazione che si può definire allocentrica, essendo fissata ogni volta rispetto ad un punto del
mondo esterno. In altri termini, è una rappresentazione dello spazio-ambiente
relativa al punto in cui si trova l’animale.
La mappa cognitiva ippocampale dello spazio
rappresentata nelle cellule di luogo,
nei trent’anni seguenti, ha ottenuto numerose conferme sperimentali ma, sebbene
la sua esistenza fosse diventata una nozione consolidata nella didattica,
rimaneva un mistero come facesse questa popolazione cellulare a conoscere le
informazioni spaziali necessarie alla sua funzione. In altri termini, non si
riusciva a capire in che modo la mappa si costituisse, quale tipo di
informazioni spaziali e in quale modo giungessero a queste regioni dell’ippocampo.
Nonostante l’impegno di molti ricercatori, si
continuò a brancolare nel buio fino al 2005, quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi accesero una luce straordinaria
con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato come una griglia che mappa lo spazio nella
corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[1]. I
neuroni scoperti dai coniugi Moser, detti cellule griglia o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e, a differenza delle cellule di luogo ippocampali che si attivano
solo quando l’animale è in una singola e specifica localizzazione, scaricano
ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni regolarmente spaziate a
formare una griglia o grata a maglie esagonali. Questa grata consente al cervello di localizzare
il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate cartesiane
proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal contesto,
da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti un luogo[2].
Le informazioni spaziali codificate dalle grid cells, secondo il criterio della
griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi convogliate all’ippocampo
dove sono elaborate nella chiave di singole rappresentazioni spaziali corrispondenti
all’attivazione delle cellule di luogo.
Ogni dato ambiente, per gli animali studiati e
presumibilmente per la nostra specie, trova corrispondenza in una particolare configurazione di attività della
specifica popolazione di cellule ippocampali, ossia è rappresentato in un firing pattern che, una volta costituito, è
stabilmente conservato. Come? Questo problema di memoria ha impegnato a lungo i
ricercatori: poiché le cellule di luogo o place
cells non sono altro che i neuroni piramidali sui quali da decenni si
studia il potenziamento di lungo termine (LTP), la principale base cellulare
della memoria che si conosca, si è ipotizzato un ruolo dell’LTP nella conservazione
della memoria della configurazione di
attività corrispondente all’ambiente.
La verifica di tale ipotesi ha richiesto esperimenti
con topi mancanti della subunità NR1 del recettore NMDA, necessaria per il
potenziamento di lungo temine dell’attività sinaptica dei neuroni piramidali.
Gli esperimenti, sorprendendo i ricercatori, hanno mostrato che i neuroni
piramidali ippocampali, nonostante il blocco dell’LTP, ancora si attivano
secondo campi di luogo. In questi
topi mutanti, però, i campi di luogo risultano
più espansi e meno precisamente delimitati nella sagoma dei loro confini
rispetto a quelli dei topi normali. In un’altra serie di esperimenti con topi
mutanti si è cercato di verificare l’importanza della fase terminale del
potenziamento e della memoria spaziale a lungo termine. In tali ceppi murini
l’espressione di un transgene che codifica una proteina inibitrice della proteinchinasi A, selettivamente elimina
lo sviluppo della fase tardiva dell’LTP e della memoria dello spazio di lunga
durata. Anche in questo caso i campi di
luogo si formavano ancora, ma le configurazioni
di attività (firing patterns) delle singole cellule di luogo duravano all’incirca
un’ora e poi andavano perdute.
Su questa base si è dedotto che l’LTP tardivo non è
richiesto per la formazione dei campi di
luogo, ma è indispensabile per la loro stabilizzazione a lungo termine.
Un filone più recente e affascinante di indagini è
quello che, con numerosi lavori, ha affrontato il problema dei rapporti fra la
struttura funzionale delle mappe spaziali ippocampali e le basi neurali della
memoria esplicita o dichiarativa tipica della nostra specie.
Nell’uomo, la memoria esplicita può essere definita
come la rievocazione cosciente di fatti relativi a persone, luoghi ed oggetti.
Nei topi non è possibile studiare la coscienza (coscienza di ordine superiore, secondo Edelman), pertanto si è
eletta come equivalente l’attenzione selettiva,
funzione indagabile nel topo ed attiva nell’uomo durante la rievocazione
cosciente. Gli esperimenti condotti secondo questa impostazione hanno
dimostrato che la memoria a lungo termine di un campo di luogo stabilmente
conservato nell’ippocampo non è una memoria implicita costituita e usata
automaticamente, ma richiede l’intervento di processi di specifica attenzione
all’ambiente, che possiamo ritenere equivalenti della nostra rievocazione
cosciente.
A fronte dell’esigenza di una codifica specifica e
rapida delle nuove informazioni per un uso efficace, l’ippocampo e le aree
collegate rispondono con sistemi neuronici in grado di registrare una grande
quantità di informazioni non correlate fra loro, fornendo un ricco materiale di
indagine dal quale è stata tratta una considerevole mole di risultati. I coniugi
Moser, per analizzare quanto emerso, hanno preso le mosse dalle proprietà delle
place cells, delle grid cells,
delle quali si è già detto, e delle border cells,
ossia un tipo neuronico che risponde elettivamente al rilievo dei confini di
uno spazio dell’ambiente. Il che in sostanza vuol dire che hanno basato la loro
valutazione sui principi fisiologici che sono stati desunti dall’attività di
queste cellule e dal profilo funzionale che si va delineando per i sistemi cui
appartengono.
In estrema sintesi, la concettualizzazione di quanto
osservato dai Moser può così schematizzarsi:
1) le “cellule a grata” o griglia o grid cells forniscono l’ippocampo di un sistema metrico altamente specializzato,
ma anche di un probabile meccanismo che realizza una separazione o de-correlazione
di rappresentazioni;
2)
la formazione di “mappe di luogo” (place maps) specifiche per l’ambiente dipende da meccanismi
di plasticità a lungo temine delle sinapsi ippocampali;
3)
l’immagazzinamento di memorie spazio-temporali a lungo termine dipende da processi di consolidamento che avvengono offline e sono associati ad una specifica
attività elettrica ippocampale (sharp-wave ripple) da tempo correlata a questo processo;
4)
l’enorme quantità di rappresentazioni, generate dalle interazioni fra una
varietà di sistemi cellulari funzionalmente
specializzati del circuito corteccia
entorinale-ippocampo, può costituire il nucleo fondamentale della memoria
dichiarativa”[3].
Torniamo
allo studio qui recensito.
L’aspetto cruciale da considerare per la gestione operativa delle
informazioni spaziali nel cervello dei mammiferi è che queste, come e più di quanto
accade per le informazioni in tante altre attività della vita quotidiana,
necessitano di un’organizzazione che rispetti le priorità vincolanti e,
dunque, una “pianificazione gerarchica”, come si dice in gergo. Numerosi studi
hanno mostrato che l’organizzazione gerarchica dell’attività delle reti può
fornire numerosi vantaggi, fra cui l’ottenimento di una rappresentazione
massimamente informativa dei segnali di input e un efficiente
indirizzamento dei segnali nei casi in cui i collegamenti delle reti siano
soggetti a cambiamenti. Quest’ultima proprietà è particolarmente utile alle
reti neuroniche in cui le connessioni sinaptiche vanno incontro a cambiamenti
nel corso del tempo. In ogni caso, per la realizzazione di questi vantaggi è
stato dimostrato che le reti dovrebbero essere sempre organizzate gerarchicamente
in modo tale da seguire una implicita geometria iperbolica.
A differenza della geometria fondata da Euclide, quella iperbolica è curvata
negativamente. Questo risulta in un’espansione esponenziale del volume con
la distanza dal centro, nella compressione percettiva di grandi distanze e
distorsioni nelle vie delle più brevi distanze tra punti, che curvano verso il
centro della rappresentazione. Così, l’organizzazione iperbolica andrebbe
contro l’intuizione derivata dall’esperienza percettiva quotidiana, secondo cui
il cervello organizzi in forma lineare le rappresentazioni dello spazio che ci
circonda.
Huanqiu Zhang e colleghi hanno indagato se è il criterio
della geometria iperbolica[4] quello
seguito dalle reti neuroniche, analizzando nel ratto la regione CA1 dell’ippocampo
nella sua parte dorsale, considerata essenziale per la rappresentazione
spaziale e per la pianificazione delle traiettorie. In particolare, sono state
rilevate le risposte di set di neuroni piramidali di CA1. Tali cellule, come abbiamo
visto prima dettagliatamente, rispondono a specifiche aree di localizzazione
dette campi di luogo.
L’esposizione dei risultati rilevati nella
registrazione dei neuroni piramidali, per i quali si rimanda i lettori
specialisti alla lettura integrale dell’articolo originale, fornisce una
conferma che i neuroni nella parte dorsale della regione CA1 dell’ippocampo di
ratto, che mediano la percezione spaziale, rappresentano lo spazio secondo una
geometria iperbolica non-lineare. Tale geometria usa una scala esponenziale e
detiene un’informazione posizionale superiore a quella di una scala lineare.
Huanqiu Zhang e colleghi hanno rilevato che la dimensione
della rappresentazione corrisponde alle previsioni ottimali per il numero dei
neuroni in CA1. Le rappresentazioni sono risultate dinamicamente espanse in
proporzione al logaritmo del tempo che l’animale trascorre esplorando l’ambiente,
in corrispondenza con la massima informazione mutua che può essere ricevuta. I
cambiamenti dinamici tracciavano anche le più piccole variazioni dovute a
modifiche della velocità di corsa del roditore.
Nell’insieme i risultati di questo studio dimostrano
in modo sufficientemente convincente che i circuiti neuronici ippocampali, formati
dalle cellule di luogo di CA1, raggiungono un’efficiente rappresentazione dello
spazio impiegando una geometria iperbolica dinamica.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE”
del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-21 gennaio 2023
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La Società
Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society
of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio
Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali
aiutano ad esplorare l’ambiente; Note
e Notizie 06-10-07 Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce
l’indicazione bibliografica per esteso dei due lavori che hanno comunicato la
scoperta da parte dei Moser, oltre al riferimento al volume classico di
introduzione all’argomento). Numerose altre recensioni si trovano scorrendo
l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” (dall’11-03-2003 al 10-07-2010 sono rubricate
come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE” cui si accede dal fondo della pagina “NOTE E
NOTIZIE”).
[2] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato
dimostrato che la loro attività richiede il segnale neuroni che indicano la
posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si
raccomanda la lettura della recensione della professoressa Richmond: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia
hanno bisogno del segnale delle cellule HD.
[3] Note e Notizie 28-11-15 Una
lezione sulla memoria dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014. Si vedano
anche Note e Notizie 26-03-22 Eccezionale invenzione dei coniugi Moser già
insigniti del Nobel; Note e Notizie 03-12-22 Come gli animali usano le
mappe spaziali per trovare il cibo.
[4] L’idea che la geometria
iperbolica sia alla base della rappresentazione neurale dello spazio deriva –
spiegano gli autori – da una costruzione illustrata in una figura (Fig. 1b), in
cui ciascun punto del piano bidimensionale rappresenta una proprietà neurale di
risposta astratta e un disco rappresenta la raccolta di tutte le proprietà di un
singolo neurone in CA1. Più si sovrappongono due dischi, più simili sono le
proprietà di risposta dei due corrispondenti neuroni e, naturalmente, più alta
è la loro correlazione di risposta. Prendendo le mosse da questo e, assegnando
ai neuroni con un disco più grande una posizione più alta nella gerarchia, si è
generata una struttura ad albero. Tale struttura si può considerare come una mesh discreta (nel senso della geometria
differenziale discreta) sovrastante la geometria iperbolica.